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MAGUS ALTAIR
00sabato 20 settembre 2003 15:38
Come saprete il bisogno di silenzio interiore ha fatto scoprire a
molte persone la possibilità di soggiornare per qualche giorno in
un monastero, a prescindere dalla propria fede religiosa.
Qualcuno di voi ha mai fatto esperienze di questo tipo?
Io personalmente ancora no, anche se la cosa mi attrae molto, ed
aspetto solamente il momento più adatto per farlo.
Chi ci ha provato mi ha assicurato che non è semplice come sembra,
rimanere davvero soli con se stessi...
Momo-
00domenica 21 settembre 2003 22:34
mai fatto..
[SM=g27817] Ma leggevo un articolo poco ptempo fa, la cosa mi attira molto, non credo che, per me, sarebbe troppo difficile, o strano, sono sempre stata molto da sola, anche e sopratutto da bambina, dipende moltissimo da come si è abituati, ci sono persone che da sole non resistono cinque minuti.
Gnomos
00lunedì 22 settembre 2003 21:13
...

Io sono stato molto tentato, e penso che lo farò in futuro, le occasioni non mancano, vicino a me ci sono parecchi bei monasteri e anche una comune Hare-Krishna... bisogna solo prendersi un pò di tempo e un pò di coraggio...


.:avatar:.
00martedì 23 settembre 2003 22:58
L'idea di per se' non e' male: dopotutto abbiamo bisogno di isolarci dalla frenetica societa' in cui viviamo, che ci bombarda ogni giorno con ogni genere di cose, per tornare a parlare con noi stessi. Il fatto e' che a lungo temo si finisca nell'ascetismo, perdendo in un certo senso il fine per trarre qualcosa dalla vita in monastero: dopotutto a mio avviso non e' un bene perdere il contatto con la realta', cosa che in isolato monastero si rischia di fare. La cosa ideale a mio avviso sarebbe un piccolo monastero personale in citta', nel quale isolarci quando necessario... Come puo' diventarlo casa propria [SM=g27822] (anche se non e' il mio caso... anche se cerco di trovarmi sempre momenti per me stesso. Sono abituato a stare da solo, la cosa non mi reca problemi)

Dovevo andare a Lhasa questo settembre... poi ho riconsiderato: non era la mia via.

[Modificato da .:avatar:. 23/09/2003 23.05]

arielbianca
00sabato 27 settembre 2003 06:59
Isolamento
Anche io ci ho pensato ma mai affrontato.
Stare da sola e' un bisogno per me,abbastanza prioritario.
Che sia in casa,in un bosco,su una spiagga deserta(ecco perche' vado al mare quando non resta quasi piu' nessuno)purche' possa avere delle ore in cui possa sentirmi sola, e solo se sono inquieta la cosa puo' spaventarmi.
Certo ben altra cosa sarebbe una scelta di vita,non sarebbe per me,ho sempre bisogno di confronti e conferme esterne. Oltretutto,non sarebbe questo il modo per distaccarsi da cio' che ci circonda di materiale e terreno,sarebbe un "aiuto" troppo facile.

Sembra pero' che la scelta di un periodo in monastero sia diventata quasi una moda,qualche tempo fa. Ho visto dei servizi in televisione,persino i "vip" dichiarano di andarvi.


Avatar, vuoi spiegare che tipo di scelta sarebbe stata la tua partenza per Lhasa? Da come hai concluso la frase,non mi era sembrata una visita turistica...[SM=g27822]

LucaS.
00domenica 5 ottobre 2003 23:36
Sento spesso l'esigenza di stare solo....e cerco sempre di soddisfare questa necessità.
Personalmente non sentendomi a mio agio in un monastero...mi limito a caricarmi uno zaino sulle spalle con tenda e saccoapelo, mi avvio verso qualche zona degl'appennini che non conosco e vado.....li resto secondo la disponibiltà di tempo, soldi, e fino ad aver assolto alla mia necessità.
E' in quei momenti che spesso arrivano i risultati di tanti sforzi, dalla meditazione agl'aspetti più propriamente operativi. Credo inoltre che questo isolamento "agreste" metta il nostro corpo in uno stato che generalmente dimentichiamo: attenzione, ascolto...e più in generale di confronto con le proprie capacità e paure. A volte non monto nemmeno la tenda e me ne vado su un albero...la notte passa insonne ovviamente...ma può esser fonte di splendide sorprese. Insomma....se un monastero vi chiederebbe troppa organizzazione o non vi convince fino in fondo vi consiglio questa idea....in due-tre ore avrete garantita tutta la solitudine che vorrete.
Io queste cose le adoro.....certo meglio farlo quando non è stagione di caccia....(e accertarsi di non aver inavvertitamente piazzato campo in un parco protetto...a me è pure capitato di esser stato svegliato dalla forestale...e non è stato bello -soprattutto per il portafogli-)

Benedizioni
arielbianca
00lunedì 6 ottobre 2003 11:05
Ottimo il consiglio Luca !
Ma sai una cosa. Nei miei pellegrinaggi montani il mio senso di sicurezza personale non mi consente di godere appieno di queste esperienze.[SM=g27834]
Cosi' non mi allontano mai troppo dai luoghi frequentati e mai per troppe ore...purtroppo il coltello da sub che porto non mi e' affatto sufficiente per sentirmi tranquilla.
MAGUS ALTAIR
00martedì 7 ottobre 2003 23:59
Un bosco non è forse un eremo naturale?!
A me piace particolarmente con la neve, è tutto così immobile,
sembra che il bosco mediti con me...
jezabel
00domenica 14 dicembre 2003 01:17
bhe...
visto che me ne sto tappata in casa a cercar me steesa, essere in un eremo mi farebbe più che bene, solo non resisterei lontano dai miei gatti.

rasata a zero già lo sono.
,mi manca l'eremo, un pò di provviste e tanti libri.
non scehrzo...[SM=g27833]

[Modificato da jezabel 14/12/2003 1.18]

settedinove
00domenica 14 dicembre 2003 21:25
monasteri
Fino a qualche tempo fa avrei accolto con entusiasmo l'idea di trascorrere qualche giorno in un monastero. Oggi però le cose sono cambiate, o meglio le mie attuali esigenze sono diverse. Mi spiego meglio: riesco a stare sola con me stessa nella realtà in cui vivo ogni giorno, nella mia realtà, insomma.
Nonostante ciò, a volte sento la necessità di entrare in una chiesa. E lì aspetto, mi metto in ascolto, e la mia mente spontaneamente si concentra su pensieri positivi. Questo mi capita anche quando sono a contatto con la natura, a volte quando mi trovo in casa in un momento di pace, di solitudine. Bastano pochi minuti e ritrovo chiarezza ed equilibrio.
jezabel
00domenica 14 dicembre 2003 22:31
temo ...
temo che mi farebbero bene almnei sei mesi lontano da tutto.
lo farei, ci ho pensato molte volte.

porterei lo stretto necessario...
per tenermi dietro, sempre donna sono.

ristabilerei degli orari più in accordo con il ciclo giorno-notte.

non vedrei tutte quelle stupide faccie...
si, partirei domani.

e , a aprte gli scherzi, credo sarebbe un'esperienza bellissima e costruttiva...
per guardarsi dentro.
e per capire , forse, quanto comìnti poi il ritornare fra gli uomini.

in qualche modo me ne sto nel mio eremo.
anche in questo momento.

mentre il mio tipo è in piazza al bar.
non ci vedo più significato, in queste cose...[SM=g27833]
settedinove
00lunedì 15 dicembre 2003 14:06
Non credo sia produttivo e costruttivo fuggire dalla propria realtà (perché abbandonare tutto per sei mesi significa questo). Penso che una scelta di questo tipo comporti dei grossi rischi, parlo in termini di equilibrio interiore. Credo invece si possa guardare dentro di sé e scoprire quale sia l'ostacolo che ci impedisce di essere liberi anche se siamo immersi nella nostra realtà quotidiana.
Questa é la mia opinione, suffragata dalla pratica che ho da poco intrapreso.
jezabel
00lunedì 15 dicembre 2003 20:07
certe volte...
certe volte sono tentata di abbandonarla per sempre questa realtà...

non mi piace questa società, non mi sta dando niente.
o comunque non mi da quello di cui sento il bisogno.

sarà che abito in città da sempre.

ho voglia di perdermi nella natura.
non importa andare in tibet, sarebbe bella una casa in riva al mare del nord.
o una casa nella campagna italiana.

l'equilibrio interiore si è spezzato da tempo.
non è quello il problema.

poi lo so bene che la libertà e l'equilibrio vanno cercati dentro di se...
ma in mezzo al caos cittadino risulta molto difficile.
credimi...

potrebbe sembrare una fuga, forse lo sarebbe.

ma se sento che mi farebbe più che bene...[SM=g27829]


[Modificato da jezabel 15/12/2003 20.08]

arielbianca
00martedì 16 dicembre 2003 07:50
Jez, il tuo desiderio di lasciare una citta' caotica e inquinata e' piu' che comprensibile. Ma nel tuo raccontare avevi dato anche a me l'impressione che il tuo fosse un desiderio di fuga dalla realta'...infatti piu' che di parlare di una casetta con un pezzettino di prato e un panorama campagnolo, sembrava tu pensassi ad un eremo fantastico...sai quei posti in cui si crede che appena entrati, tutti i problemi dentro e fuori di noi scompaiano e che "fuori" nessuno si ricordi della nostra esistenza...
Nella tua casetta puoi ricreare l'ambiente che desideri, cosi' come nella tua mente.[SM=x213434]
A volte basta un vasetto di fiori colorati e profumati e un po' di Pace interiore.

PS:nonostante non sia cattolica, anche io a volte entro nelle chiese e mi siedo un po' in silenzio, mi piace sentire l'eco silenzioso e il profumo di incenso consumato. Se poi trovo una cappellina montana, non resisto ed entro a contemplarla.

[Modificato da arielbianca 16/12/2003 7.53]

MAGUS ALTAIR
00martedì 16 dicembre 2003 10:01
La fuga e il ritorno
C'è un Diavolo dentro ciascuno di noi, ce lo portiamo dentro dalla
nascita e rimane con noi per tutta la vita.
Chiamatelo Diavolo, chiamatelo Inconscio, chiamatelo Ombra, ma c'è
e non può essere ignorato, e deve essere considerato se si vuole
davvero divenire Uno, invece che rimanere addormentati e ingenuamente
convinti di essere sani.
Il rumore e la confusione sono ottimi anestetici: il nostro Diavolo
dorme e qualche volta si scuote nel sonno, creandoci non pochi problemi,
stupendoci come se la sua voce venisse dal di fuori... no, ci diciamo,
noi non siamo questo, non siamo così... chissà perchè queste idee,
chissà da dove queste reazioni...
Il silenzio ha il magico (si, proprio "magico", non è un modo di dire)
potere di metterci in contatto con il nostro Diavolo interiore,
e, unito all'isolamento, crea dei circuiti di comunicazione nuovi
ed inaspettati.
L'isolamento poi amplifica l'effetto del solo silenzio, e ci consente
di parlare al Diavolo, mentre nella vita quotidiana non ci è possibile.
Ecco perchè le chiese più suggestive sono buie e silenziose, mentre
quelle moderne sono piene di luce ed entrando non si "sente" nulla...

Isolarsi ogni tanto non è dunque una fuga... ma un ritorno,
e se non si vuole ritornare, allora si che si sta fuggendo!

[Modificato da MAGUS ALTAIR 16/12/2003 10.03]

jezabel
00mercoledì 17 dicembre 2003 02:04
magus...
non so come dirtelo...
hai capito ESATTAMENTE cosa intendo dire quando parlo del desiderio di starmene sola, fuori dal mondo, nel silenzio delle montagne.

io lo chiamo 'demone'.

ed è un pò che fa molta ma molta fatica a farsi ascoltare.
io lo amo.
amo questo mio demone, e ho imparato a non averne paura.

mi manca immensamente in tutta la sua pienezza e forza di un tempo.

ecco perchè non mi sento mai sola.
non lo sono.
non lo potrei essere...[SM=x213434]

MAGUS ALTAIR
00mercoledì 17 dicembre 2003 18:57
La paura
Infatti è proprio la paura che fa fuggire dal nostro Diavolo interiore,
ed è proprio la paura il sentimento che non dobbiamo mai avere.
Il nostro Diavolo non è un nemico da combattere ed eliminare, ma
una parte del nostro patrimonio da ricuperare seppure con prudenza.
Quindi più che la paura occorre la prudenza, perchè sicuramente si
tratta di qualcosa che non è sotto il nostro pieno controllo:
avere scoperto che esiste non significa riuscire a gestirlo!
So di molte persone che si sono recate in monasteri in ritiro, e
sono fuggite dopo uno o due giorni, incapaci di sopportare il peso
di loro stessi.
Questo non lo dico come critica (perchè ciascuno ha il suo Diavolo
che gli altri non conoscono) ma come conferma della "profondità"
di questo strato del nostro essere, talmente profondo da apparire
spesso oscuro ed estraneo.
settedinove
00mercoledì 17 dicembre 2003 19:05
Perché la parte inconscia la definisci "diavolo"?
Tutto ciò mi sembra molto inquietante [SM=g27825]
A sentire te, sembra che questa parte interiore abbia quasi un'autonomia propria, un'identità diversa e sconosciuta dall'io (se così si può dire).
MAGUS ALTAIR
00giovedì 18 dicembre 2003 18:56
Inquietante? Si!
Autonomo? Anche!
Da quando è stato "scoperto" l'inconscio, anche se lo si è descritto
nei modi più vari, si è subito compreso che si trattava di qualcosa
che sfuggiva al controllo del nostro Io cosciente.
L'interpretazione in proposito che preferisco è quella junghiana:
c'è un "io", che corrisponde alla parte autocosciente della nostra
psiche, e l'inconscio, che si muove secondo logiche proprie e tende
a manifestarsi alla parte conscia allo scopo di integrarsi (cosoddetto
"processo di individuazione"), per formare il "sè", un nuovo soggetto
psichico "pieno" ed equilibrato.
Non è "bello" pensare che esistano parti di noi sulle quali non abbiamo
controllo, che addirittura ci possono apparire antagoniste a tutto
ciò che crediamo di essere, e che vogliamo essere... eppure il semplice
fatto che sogniamo ce lo dimostra, perchè il contenuto dei sogni
spesso è spiazzante o misterioso e ci pare quasi impossibile che
proprio da "noi" provengano certi contenuti (e in effetti non è
esattamente così...).
Nella parte più nascosta ci sono Forze che si muovono e che si può
anche scegliere di ignorare, ma così facendo davvero non realizzeremo quel
"conosci te stesso" che sintetizza ogni vero insegnamento tradizionale,
e ci illuderemo di essere ciò che non siamo.
L'Arcano "Il Diavolo" dei Tarocchi ha molto da insegnarci a riguardo,
perciò ti rimando anche alla discussione relativa a quella carta
così importante e significativa.

Ma perchè chiamarlo proprio "Diavolo"?
Certe forze e pulsioni sono spesso state considerate come provenienti
dall'esterno di noi, e certa morale cristiana ci ha abituati a
pensare ad un Diavolo personale che "tenta" le anime, che di per sè
sarebbero caste e pure.
Qualcuno la pensa così... io no.
E, detto di sfuggita, anche lo stesso Gesù disse che le cose "cattive"
vengono dal "cuore" dell'Uomo e non dal di fuori, mentre i "demoni"
erano casomai responsabili della "pazzia", ma non della "cattiveria"...
Il termine Diavolo deriva dal verbo greco "diabàllo" che indica
il "mettersi di traverso", l'"opporsi", e ben rende l'idea di un
antagonismo all'interno di se stessi.

[Modificato da MAGUS ALTAIR 18/12/2003 19.03]

jezabel
00venerdì 19 dicembre 2003 02:14
daimones
diavolo.
o daimones...
sono d'accordo con quanto scrive magus. anche perchè mi ritrovo molto nella lettura psicanalitica di jung, che non era certo un sempice psicanalista, ma una persona dal fascino e dalle intuizioni 'scimaniche'.

io, come ho detto, chiamo questa parte 'oscura' e sotterranea di me stessa 'demone', seguendo un pò il pensiero di hilmann, ma i concetti combaciano.

non vorrei sembrare vanaglosriosa, ma io non credo di avere più paura del mio demone, anzi, dei miei demoni.

li acceto, e voglio loro molto bene.

certo non sono ancora giunta in fondo al pozzo nero...o forse si.
so che oltre il pozzo nero splende la luce.

magus parla di un sorperndersi delle proprie pulsioni 'cattive'...
a me capita di sorprendermi quando dal mio inconscio escono cose belle e e solari.

mi dico che non posso essre io ad avere tali belle idee, tali belle parole.


della mia cattivaria ho preso atto da tempo.
e so che non è una cattiveria distruttiva ma che mi protegge, che mi rende, che cerca di rendermi, libera...





[SM=g27829]
arielbianca
00venerdì 19 dicembre 2003 08:44
Hai detto bene Jez!
Li' dentro, non ci sono solo aspetti negativi di noi, che comunque sono quelli che risaltano maggiormente perche' solitamente non si vorrebbero conoscere ne tantomeno avere...

Ci sono altre parti di noi, sensibilita' sconosciute ed energie incredibili che non possiamo toccare e cercare di conoscere quando vogliamo noi,con coscenza, in quanto forze incontrolate. Ma in certe situazioni della vita c'e' davvero la possibilita' di andare a fondo e scoprirle. Come dice Magus, senza paura.

A volte mi sono chiesta perche' mai dobbiamo affrontare certe vicissitudini,certi dolori, quale sia il disegno entro cui viviamo e lottiamo, altre volte ancora mi chiedo come fare per poter toccare il nostro demone, per affrontarlo ed infine unire tutte le noste parti.

Che l'una sia la risposta all'altra domanda?[SM=g27822]

jezabel
00venerdì 19 dicembre 2003 16:28
infatti
spesso il demonietto salta fuori quando stai male.
altre volte se lo cerchi.

se lo cerchi forse fai più fatica.
se è lui che ti cerca, emregendo in qualche modo...è ancora più facile...
arielbianca
00sabato 20 dicembre 2003 08:10
Proprio stamattina ho seguito in una trasmissione la spiegazione della necessita' di affrontare con coscenza uno degli avvenimenti della nostra vita che normalmente detestiamo e fuggiamo. Il fallimento. Siamo abituati a pensare che sia il successo il fine della nostra attivita'...mentre e' questa la via attraverso cui possiamo conoscere parti di noi difficilmente raggiungibili. [SM=g27822]

Perche' abbiamo cosi' paura di vedere i nostri limiti?

settedinove
00sabato 20 dicembre 2003 20:40
Vedere i propri limiti dovrebbe essere un'occasione per giungere ad una più profonda conoscenza di noi stessi e per capire in quale direzione procedere, spesso invece questo non avviene e proviamo soltanto delusione e frustrazione.
Penso che la causa sia principalmente il condizionamento sociale che tutti subiamo, chi più e chi meno. Crediamo di essere liberi in realtà siamo schiavi di modelli comportamentali preconfezionati ai quali ci conformiamo senza accorgercene. E' proprio questa la cosa grave, secondo me e cioé proprio la mancanza di consapevolezza.
MAGUS ALTAIR
00sabato 20 dicembre 2003 21:50
Come quando parlavamo del Diavolo, anche qui si vede una specie di ossessione
dell'Uomo di distinguere sempre due aspetti di se stesso: uno buono,
positivo, chiaro, consapevole, ed uno cattivo, negativo, oscuro, inconscio.
Si pensa così di dover imparare solo da una parte di sè (quella "buona"), quando invece
è dalla totalità di tutto ciò che siamo che possiamo davvero ricavare
una sana lezione di vita.
Ecco perchè secondo me un fallimento può essere "Bene" così come un
successo, anche (e soprattutto) se deriva da un proprio limite.

[Modificato da MAGUS ALTAIR 20/12/2003 21.51]

jezabel
00domenica 21 dicembre 2003 19:57
fallimenti...
giustissimo.
proprio i fallimenti mi stanno portando a guardarmi dentro.
e settedinove ha un immensità di ragione nel dire che siamo comunque condizionati dalla società, da quello che gli altri si aspettano da noi.
che può non coincidere asslutamente con quello che noi siamo.

e alora si soffre, perchè il giudzio degli altri ferisce comunque.

e si soffre ancora di più se si tenta di non essere se stessi, parti 'oscure' comprese.

è un problema.
grosso...
una parte ti tira verso l'essere 'buono' e socialmente accettabile come persona, ed altra parte, forse proprio il daimones, ti spinge ad essere, o meglio a divenire, quello che sei.

tale processo di individuazione è un cammino che a volte occorre fare da soi.
noncuranti degli altri.

voi che ne dite?




[SM=g27833]
settedinove
00sabato 27 dicembre 2003 13:05
Sono d'accordo con te Jez, per questo aspetto dobbiamo lavorare su noi stessi noncuranti delle influenze esterne, soprattutto dalle opinioni e dal giudizio altrui. Solo in questo modo, secondo me, possiamo ascoltarci pienamente e scoprire quella parte nascosta che vuole manifestarsi e che rappresenta il nostro vero essere [SM=g27822]
arielbianca
00sabato 27 dicembre 2003 17:35
Secondo voi, perche' siamo,chi piu' chi meno, tanto interessati ai giudizi degli altri?
Il desiderio di sentirci accettati e amati,io credo...
E' possibile,ammesso sia questa la causa, riuscire a farne a meno?
MAGUS ALTAIR
00martedì 30 dicembre 2003 10:06
Ma allora siamo sani o malati?
E' proprio per la mancanza degli "altri", che è difficile isolarsi!
Sembra una banalità, ma è il centro del discorso: noi non ne siamo
capaci e dunque il problema è:
riteniamo normale questo stato di cose, tanto da lasciare tutto così
(nel qual caso sicuramente sarebbe una "fuga" inutile la ricerca
della solitudine anche temporanea)
oppure crediamo di essere in qualche modo "malati" e dunque bisognosi
di una qualche "cura" (nel qual caso invece la fuga sarebbe la terapia
oltre che giusta anche necessaria)?

[Modificato da MAGUS ALTAIR 30/12/2003 10.07]

arielbianca
00sabato 3 gennaio 2004 07:40
Anche qui ci vuole equilibrio o meglio...si capisce se siamo equilibrati nel nostro rapporto con noi stessi!
Se e' cosi', allora siamo in grado sia di stare con gli altri e godere del contatto, sia di stare da soli, in grado di prenderci i nostri spazi senza soffrire ma anzi con il piacere di andare sempre piu' alla scoperta di noi stessi.

Se siamo in difficolta' in uno dei due casi, se sentiamo l'esigenza di esternare sempre oppure sentiamo un costante bisogno di chiusura, credo che dovremmo fermarci ed iniziare a riflettere su cio' che significa tutto cio'.(da soli o con qualcuno che ci aiuta? [SM=g27822] )
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